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>>Il genere letterario storico - La
storia biblica è vera storia?
Racconti
veritieri documentati
La Bibbia, che nel riferire i dati
scientifici, non intende fare della scienza, ma suscitare la fede
in Dio; anche quando narra eventi storici, non intende
trasformarsi in un manuale di storia, bensì suscitare la
fede in Dio che dirige il corso dello sviluppo umano. Tuttavia,
non si trasforma per questo in un libro antistorico, ma usa un
metodo storiografico che segue canoni particolari.
La storia
biblica è vera storia. La Bibbia supera infinitamente il
semplice resoconto del cronista di un giornale (episodi) perché
ci presenta una vera storia. La storia si ha solo quando si
concatenano assieme gli eventi, e se ne studiano le cause e gli
effetti. Essa è quindi frutto di ripensamento. È
l'assioma che ha diretto il grande storiografo americano Toynbee
nella sua brillante opera. Quando manca questa valutazione, che
include sempre un elemento soggettivo, si ha la cronaca e non la
storia (ovvero gli “annali"). Il racconto biblico è
una vera storia in quanto, unico esempio nell'antichità
orientale, presenta un concatenamento degli eventi storici, anche
se pur esso non segue un metro umano, bensì divino. La
Bibbia afferma che, non solo eventi miracolosi, ma anche l'usuale
svolgimento storico dell'umanità è diretto da Dio
che per mezzo suo vuole condurre gli uomini a salvezza
estirpandone la malvagità. Indicando che la storia viene da
Dio, la Bibbia vuole insegnarci che, secondo le leggi da lui
stabilite, il peccato porta sempre con sé i germi della
distruzione. Gli ebrei amano attribuire direttamente a Dio ciò
che viene operato dalle cause seconde. In ciò non
sbagliano, perché anche in questa loro azione è pur
sempre Dio che indirettamente guida con le sue leggi l'umanità
verso il perfezionamento e la salvezza. Perciò “il
popolo israelitico fu il primo in Oriente che, molto prima dei
greci, ebbe il concetto di storia, che non compose solo annali e
cronache, ma che scrisse della vera storia”. - J. Elbogen,
Historiographie, in E.Y., VIII, 1931, pag. 107; cf A.C. Dentain,
The Idea of History in the Ancient Near East, New Haven, 1955.
“La
narrazione storica si riallaccia sempre a una considerazione più
alta” (Girolamo, in Ps enarr., tr. II, 2 PL 44,489). Gli
ebrei non coltivarono la storia per la storia, ma con la
narrazione storica diedero un insegnamento morale e spirituale e
suscitarono la fede in Dio, che solo può dare salvezza, non
solo a Israele ma anche a tutti gli uomini. Con molta acutezza
perciò gli scrittori storici delle Scritture Ebraiche sono
chiamati dagli ebrei "profeti anteriori".
Racconti
veritieri. Non è vero che gli antichi creassero ad arte gli
eventi da essi narrati. Anche per loro vigeva la ricerca della
verità, che era ritenuta di grande valore. Erodoto
scriveva: “Quando li interrogavo su quello che i greci
raccontano circa la guerra troiana e domandavo loro se fosse vero
o no, mi rispondevano che essi l'avevano ricevuto dal racconto
dello stesso Menelao” (Erodoto, Hist. Libri IX, ed. Didot
II, 118). Lo scrittore greco sapeva distinguere il dato storico
dalla favola: “Si narra pure un'altra favola, che per me non
è credibile”, afferma Erodoto (Erodoto, ibidem III,
3). Anche Giuseppe Flavio, all'inizio delle sue Antichità
Giudaiche, scrive: “Sono stato costretto a trattare questo
per confutare coloro che con i propri scritti depravano la verità”
(Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche 1, 1). Tutto ciò
tanto più valeva per gli ebrei, i quali aborrivano la
menzogna: “Le labbra bugiarde sono un abominio per il
Signore” (Pr 12:22), e non dovevano perciò ricorrere
alle frodi. È quindi gratuito asserire che la gente del 1°
secolo avesse avuto un’idea differente dalla moderna circa
la storicità del racconto, fino al punto di trascurare
l'accuratezza reale nelle narrazioni dei fatti (cfr. Lc 1:1-4).
Anche per gli antichi l'accurata relazione del passato è un
dato importante. Solo nei discorsi si concedevano maggiori
libertà, anche se oggi si tende a limitare anche questo
particolare. Quindi al tempo in cui si componevano le Scritture
Greche non si era per nulla indifferenti di fronte alla veridicità
delle narrazioni storiche. Anche la gente del primo secolo sapeva
distinguere tra fatto e finzione, e spesso si poneva il problema
se i fatti riferiti fossero veramente accaduti.
Quindi, di
fronte ad eventuali contrasti dei racconti biblici con altri testi
profani, ci si può domandare se la verità stia
davvero tutta dalla parte degli altri testi e l'errore solo dalla
parte della Bibbia. Ad esempio, si veda il caso della sommossa di
Teuda, posta da Luca in bocca a Gamaliele: “Prima d'ora,
sorse Teuda, dicendo di essere qualcuno; presso di lui si
raccolsero circa quattrocento uomini; egli fu ucciso, e tutti
quelli che gli avevano dato ascolto furono dispersi e ridotti a
nulla” (At 5:36). Secondo Giuseppe Flavio questa sommossa si
sarebbe attuata più tardi (Ant. 20,5,1). Da che parte sta
la verità, da che parte l'errore? Non sarebbe la prima
volta che Giuseppe Flavio avrebbe commesso uno sbaglio
cronologico. È ormai dimostrato che Giuseppe Flavio non è
poi così affidabile circa le date. Il fatto che la Bibbia
parli di "storia della salvezza" anziché di
"storia" considerata in se stessa, non ci deve indurre
in confusione. Vuol solo dire che l'azione, espressa nella Bibbia,
si svolge entro fatti storici reali. La presentazione della
salvezza divina vale solo se fondata su fatti storici, altrimenti
tutto si volatilizzerebbe in una speculazione senza fondamento o
in una mitologia simbolica.
Documenti. Una ricerca storica
riporta i documenti e le fonti riguardanti un fatto. Ora è
importante notare come anche gli scrittori biblici rimandino i
lettori alle fonti che narrarono tali fatti accaduti prima di
loro.
Fonti esplicite. Abbiamo delle citazioni esplicite
quando gli scrittori indicano espressamente le fonti cui
attingono. Esse sono date dai rimandi – ad esempio - al
"Libro del giusto" (Gs 10:13), che è pure citato
in 2Sam 1:18 per l’elegia di Davide su Saul e Gionata:
“Questo non sta forse scritto nel libro del Giusto?”,
“Si trova scritto nel Libro del Giusto”. Sono pure
note, al tempo dei re, le Cronache dei re di Giuda o di Israele,
spesso ricordate dal Libro dei Re (cfr. 1Re 15:23;16:14). Al tempo
di Esdra e di Neemia si riportano le lettere dei samaritani
scritte dal governatore Rehum al re Artaserse perché
fossero fatti sospendere i lavori della costruzione del tempio
(Esd 4:7-22) e del governatore Tattanai al re Dario contro la
ricostruzione delle mura (Esd 5,:6-17). Neemia cita l'elenco
genealogico di quelli che erano tornati per primi dall'esilio. -
Nee 7: 5-73.
Le Scritture Greche citano Mosè, Davide,
altri. Ricordano un detto di Epimenide (poeta cretese del 4°
sec. a. E. V.): "I cretesi sono sempre bugiardi" (Tit
1:12). Riportano un brano di Enoc (Gda 14), di Daniele (Mt 24:15).
È naturale che nel citare questi documenti seguano la
denominazione comune con cui tali libri erano chiamati, senza fare
un'indagine critica della loro autenticità. Anche noi oggi
parliamo di Omero, di Shakespeare, di Rama, di Zaratustra senza
per questo sostenere criticamente l'esistenza dell'autore o
l'autenticità dei loro libri. Per farsi capire dagli altri
occorre per forza usare il nome comune che viene dato a tali
scritti. Con queste citazioni gli scritti sacri non volevano
nemmeno approvare sempre quanto citano, anzi talora lo riferiscono
solo per confutarne l'asserzione. Così Paolo in, 1Cor
15:33, cita un detto di Menandro , senza nominarlo e senza
accettarne l'insegnamento ("mangiamo e beviamo"). Anche
le parole di Anania che predicono la vittoria di Sedechia sono
riferite e riprovate da Geremia. - Ger 28:1-4, disapprovate poi in
28:15.
Citazioni implicite. Si tratta di documenti che sono
copiati senza dire espressamente la fonte dalla quale gli autori
citano. Oggi vi è il concetto di diritto di autore, per cui
il riportare brani di un altro senza citarlo sarebbe un plagio,
che viene bollato assai duramente (ad esempio, il sacerdote
cattolico Gemelli, fondatore della Università Cattolica,
subì accuse assai pungenti da parte di studiosi tedeschi,
per aver copiato alcune pagine di un altro libro senza nominarlo).
Ma al tempo biblico mancava il diritto di proprietà
letteraria, tant'è vero che la maggioranza dei più
antichi poemi ci sono pervenuti senza alcun ricordo del loro
autore. Di conseguenza l'utilizzare altre fonti non era ritenuto
qualcosa di riprovevole. Che nella Bibbia vi siano delle citazioni
implicite risulta evidente dalle seguenti osservazioni:
1.Le
molte genealogie e i vari cataloghi presenti nella Bibbia sono
evidentemente citazioni di brani precedenti (1Cron 1-9). Si
confronti Esd 2 con Nee 7, dove nel primo caso la citazione è
implicita e nel secondo esplicita. Forse le variazioni dei nomi,
se non sono dovute a errori di copisti, provengono dai diversi
documenti utilizzati nei due casi.
2.Confronto di Libri.
L'esame dei Re e delle Cronache – compiuto con grande
accuratezza dal Vannutelli – mostra che gran parte del
materiale proviene da fonte comune copiata con grande
disinvoltura. L'invasione di Sennacherib si legge con le medesime
parole tanto in Is 36-39 quanto in 2Re 18-20, e proviene da un
documento unico.
3.Frasi che rispecchiano un tempo già
passato. Le parole: “Le stanghe [dell’arca] avevano
una tale lunghezza che le loro estremità si vedevano dal
luogo santo, davanti al santuario, ma non si vedevano dal di
fuori. Esse sono rimaste là fino ad oggi” (1Re 8:8)
provano che si citano documenti anteriori, perché quando si
scrissero i libri dei Re e delle Cronache tali sbarre non
esistevano a causa della distruzione del Tempio. - Cfr. anche2Cron
5:9.
4.Doppioni. Si hanno delle descrizioni doppie di uno
stesso evento, le cui divergenze - se non sono dovute a copisti -
provano la derivazione da due documenti diversi.
a)
Diluvio: coppie da raccogliere
nell'arca. Una coppia di ogni animale viene da sola nell'arca:
“Due di ogni specie verranno a te” Gn 6:20). Secondo
un altro racconto Noè doveva raccogliere sette paia di
animali puri e di uccelli; un paio di animali impuri per
conservarne la specie (Gn 7:2). Si tratta di due tradizioni
diverse riguardanti il diluvio.
b) Giuseppe
l'ebreo è venduto dai fratelli agli ismaeliti (Gn
37:27,28b) che diventano altrove dei madianiti (Gn 37:28°,36).
Tanto Madian (25:2, da Chetura) che Ismaele (16:11, arabi da Agar)
erano figli di Abraamo ed originarono popoli diversi.
c)
L'episodio di Sara in Egitto
(Gn 12:10-19) è assai simile a quello che riguarda sempre
Sara presso Abimelec re di Gerara (cap. 20) e a quello di Giacobbe
presso lo stesso Abimelec. Può darsi che si tratti di tre
episodi diversi, però può anche darsi che si tratti
del medesimo fatto collocato da diverse tradizioni in due luoghi
diversi o attribuito a due persone diverse. - Gn 26:6-11.
d)
Agar: fugge, per l’opposizione
di Sara, prima della nascita di Isacco e viene consolata da un
angelo (Gn 16:4-16); secondo un altro racconto è scacciata
invece dopo la nascita di Isacco ed è consolata da un
angelo. - Gn 21:4-21.
e) Davide,
secondo una tradizione, è introdotto nella corte del re
Saul per suonare l'arpa e viene da lui amato (1Sam 16:14ss);
secondo un'altra tradizione andò alla sua corte dopo la
vittoria su Golia e vi rimase (1Sam 17:56-18,4). In 2Sam 21:19 a
uccidere Golia è “Elanan figlio di Iaare-Oreghim il
betleemita” (forse il brano